Ecco l’estratto del mio intervento al webinar di Fondazione Ampioraggio del 12/05/2020.
Noi possiamo immaginare l’innovazione come risultante da tre campi di forza: il campo finanziario, quello della tecnica e quello umano, su cui ci concentreremo in questo webinar.
Che cosa succede sul lato umano? Le strategie top-down che funzionavano una volta, dove il vertice decide e il resto dell’organizzazione esegue, non vincono più, perché non sono adatte al tipo di ambienti con cui ci troviamo ad interagire oggi.
Oggi serve sperimentare, imparare velocemente, cogliere l’attimo del successo (e anche dell’insuccesso) e trovare l’approccio migliore. Quindi andare verso quello che in letteratura si chiama auto-organizzazione.
Quali possono essere gli stili di gestione adatti per i contesti che ci troviamo ad affrontare oggi? Lo stile tradizionale direttivo va bene per contesti che sono prevedibili, come lo erano fino a una ventina di anni fa (a seconda dei vari ambiti), in cui quello che contava era la best execution. Quindi, data la prevedibilità e la pianificabilità del compito, era importante l’esecuzione. Lo stile direttivo va bene anche nei contesti emergenziali, dove c’è un rischio molto alto e immediato, e il manager sa come fare, ti dice come e tu segui le istruzioni.
I contesti moderni sono inquadrabili come VUCA, cioè caratterizzati da volatility (quindi un tasso di cambiamento veloce ed esponenziale) uncertainty (situazioni non chiare e incerte), complexity (caratterizzate da complessità in cui le variabili chiave diventano molte) e ambiguity (dove c’è una mancanza di chiarezza circa il significato positivo o negativo degli eventi).
In questo tipo di contesti, come anche in quelli dove conta la creatività e la passione nelle persone o la customer experience, bisogna mettere al centro l’auto organizzazione. Funzionano meglio allora i manager che sanno cosa imparare e prendono anche posizioni intermedie a seconda delle situazioni e del tipo di azienda. Il manager deve imparare a mobilitare la conoscenza che le persone hanno del campo operativo e il polso che hanno, facendo domande e aiutando a trovare le migliori soluzioni.
Esistono poi anche i temi dell’automazione e della globalizzazione, con la vita media delle aziende dello S&P 500 drasticamente ridotta, dai 75 anni nel 1937 ai 18 anni del 2011.
In questo ambito il mind set dei manager deve adattarsi rapidissimamente all’ecosistema di engagement umano, imparare ad apprendere e disapprendere altrettanto velocemente (visto che le due cose sono in relazione), sviluppare le persone, avere una visione (per anticipare e creare il cambiamento), riuscire a fare network e collaborare.
Passare cioè ad abbracciare mindset di abbondanza, piuttosto che di scarsità. Essere self aware, quindi avere auto-consapevolezza, un focus costante sul cliente e comunicare e chiarire costantemente.
In altre parole serve diventare quello che tecnicamente si chiama un coach-manager, che oltre alle competenze tecniche del suo lavoro, ha anche acquisito coach skills.
Questo ci può permettere di passare da un management by instruction a uno by objectives, cioè da uno dove io dico alle persone cosa devono fare o quali obiettivi raggiungere a uno in cui condividiamo i valori fondanti e le le persone di fronte a una decisione operativa riescono a decidere qual è l’opzione che incarna meglio quei valori.
In questo modo si riesce a delegare efficacemente, a fare problem solving, ad ottenere una migliore innovazione, un buon team working e una negoziazione efficace.
Si instaura una comunicazione “risonante”, perché basata sui valori condivisi. Si riesce a motivare, ingaggiare e allineare i propri collaboratori.
Si riesce a migliorare al massimo l’employer experience e quindi il vissuto dei collaboratori. Si riesce a migliorare al massimo la customer experience, che è collegata al vissuto dei collaboratori e ciò consente di gestire in maniera efficace tutti gli ecosistemi relazionali e a garantire una buona navigazione in un mondo incerto.